Il sottile e profondo fascino misterico degli Inni orfici
è celebrato in questo Commento, l’unico superstite
ad oggi nel mondo, in lingua greca, in cui il trionfante
platonismo d’età laurenziana si coniuga con le nuove
istanze religiose, dando vita ad una sapientia filosofica
e teologica, della quale erano depositari gli antichi
teologi da Zoroastro a Ermete Trismegisto, Orfeo,
Aglaofemo, Pitagora e Platone; essa fu trasmessa poi
dai neoplatonici e culminò nella teologia cristiana,
acme di un percorso iniziatico che conduce all’unità
della Verità Rivelata. Il Commento con la sua esegesi
ai Poemi orfici rivela il nucleo dottrinale del pensiero
dell’autore, in cui la teologia, la teurgia e la magia
cerimoniale insegnano all’uomo come giungere
al colloquio con gli angeli e ricongiungersi alla divinità.
Gli Inni sotto il profilo ieratico-teurgico sono preghiere
pronunciate dall’uomo per entrare in comunione
con il divino, sotto quello magico, canti in grado
di vincolare, di incantare, di infondere potere in colui
che deve essere incantato e iniziato, il μύστης.
Sulla base della translatio sapientiae pagana e biblicocristiana
gli Inni orfici riproposti in questo Commento
in chiave moderna rivendicano, sulle orme di Ficino,
il connubio fra pia philosophia e docta religio.
L’orfismo del Rinascimento è un rinascimento
dell’orfismo, è la rinascita dei miti orfici ma soprattutto
l’elaborazione delle dottrine orfiche in campo filosofico.