Queste sono le lettere che per trent’anni si sono scambiate due persone che vivevano nel centro
di Milano: lui in piazza Fontana, lei in via Bagutta. Non si potevano telefonare, né incontrare al bar
o in biblioteca. Perché lui era l’arcivescovo
e l’organizzazione della sua vita era incompatibile con i ritmi di quella di lei, giornalista, moglie
di Giorgio Bocca, madre di tre figli.
È la giornalista a prendere l’iniziativa, e lui risponde. Le lettere approfondiscono il rapporto
di lavoro. Lei lo segue per la Repubblica da quando papa Wojtyla ha mandato lui, biblista,
a Milano come arcivescovo. Martini è ben contento di conoscere le reazioni di una persona agnostica al suo impegno pastorale. Silvia è felice di colmare le sue lacune in campo religioso. Parlano del comunicare personale e mediatico, progettano cattedre dei non credenti, discutono
di ecumenismo e di Tangentopoli, si interrogano sull’aborto e sulla Lega, sulla preghiera
e su Israele. Insomma, lo scibile di quegli anni milanesi è per loro materia quotidiana sullo
sfondo delle grandi questioni poste dalla Bibbia.
Ed è proprio la parafrasi che Silvia scriverà dell’Antico Testamento, nel tempo della pensione di Martini, la spia del gran cambiamento, conversione compresa, avvenuto in lei nel corso
di quegli anni.