Due amiche scendono dall’auto e si trovano
nel cuore di un grande bosco. In una radura,
come in una fiaba o in un sogno, c’è la loro
casa. Con sé hanno portato solo la malattia:
Micaela e Bianca si sono conosciute
in ospedale, dove entrambe stanno curando
un tumore. Provare a vivere isolate significa
sentirsi finalmente libere dal continuo sforzo
che il male richiede per essere circoscritto,
attutito, rimosso dal mondo dei sani.
Vediamo i loro corpi muoversi tra gli alberi,
sfiorarsi, riflettersi nello specchio del bagno
senza paura di mostrare la propria fragilità,
di odiarla, di riderci sopra. E ascoltiamo
intrecciarsi alle loro parole una terza voce,
dolce eppure pronta a provocare. Una voce
misteriosa: ma non lo siamo forse tutti,
misteriosi e invisibili agli altri? Sarà anche
grazie a questa voce che – durante sette giorni,
come quelli della Creazione – Micaela
e Bianca riusciranno a dirsi l’indicibile.
Con questo libro salutiamo la nascita di una
scrittrice, Gabriella De Fina, donna indomita
e appassionata della vita. A Giulio Mozzi,
che ha tenuto a battesimo il suo romanzo,
Gabriella disse che la malattia “lavora sulla tua
potenziale cattiveria; ti fa concentrare solo
su te stessa, su quelle parti del tuo corpo
che la ospitano; ti fa sentire in concorrenza
con tutte le altre persone”. Scrivere allora
non significa esorcizzare o vincere. Significa
cercare una per una, con amorevole esattezza
e profonda umanità, le parole per nominare
la sofferenza, per condividerla spezzando
il cerchio della sua solitudine. Così, scrive
Mozzi, “L’indicibile è un romanzo. Ma è
un romanzo che dovrebbe essere letto come
un’opera di filosofia, di amore per la conoscenza.
Perché solo la conoscenza può non salvarci,
non consolarci –
ma liberarci dal bisogno
di essere consolati e di sognare la salvezza”.