Hanno appena dieci anni Dario, Giovanni, Giuseppe
e Rino, ma formano già il quartetto di calciatori più
affiatato del quartiere, alla periferia nord di Napoli.
Le rincorse al mitico pallone Super Santos screziano
d’arancio la monotonia dei caseggiati, i suoni del
gioco spezzano il ritmo di giorni sempre uguali, tra
pusher e caporioni che stabiliscono le regole violente
e insindacabili di una realtà che non offre alternative.
Per i ragazzini il calcio è una boccata d’aria pura,
una speranza incastonata nei loro giovani cuori. Così,
quando il boss locale gli offre del denaro – oltre a una
fornitura illimitata di palloni nuovi – per giocare nella
piazza di spaccio, a loro sembra di sognare. In cambio,
dovranno soltanto urlare forte ogni volta che si avvicina
una volante della polizia.
Non gli ci vorrà molto per rendersi conto che la camorra
ha usato proprio il calcio per piegarli alle sue
logiche. Ma nei lunghi pomeriggi di sfide “all’americana”,
ginocchia scorticate, sudore e fiato rotto, i
quattro amici hanno imparato la libertà. Sarà difficile
dimenticarla. Anche dieci anni più tardi, quando la
vita li metterà di fronte alla necessità di ripescare quel
ricordo, all’urgenza di riassaporarlo per non dover rinunciare
definitivamente alla loro umanità.
Partendo da fatti di cronaca e da uno dei suoi primi
racconti editi, Roberto Saviano dà vita in queste pagine
a un romanzo intimo e struggente, che è al tempo
stesso celebrazione letteraria del calcio di strada e dolente
apologo su quel passaggio feroce dall’innocenza
all’età adulta che tocca a chiunque nasca in una terra
ferita. Un romanzo che ci restituisce il sapore dell’infanzia
e la certezza che il cuore puro non è quello di
chi non sbaglia, non si sporca le mani, semmai quello
di chi con gesti quotidiani trova il coraggio di cambiare
le cose.