Pochi hanno avuto un’infanzia così non convenzionale.
Ram Pace è cresciuto a Roma con un
fuoco sacro nel salone di casa e ha avuto un padre
santone. È stato abbandonato due volte dai
suoi genitori ed è partito per l’India alla ricerca
del padre diventato un eremita indù, un Baba,
un Sadhu.
Dalla convivenza con la madre in una casa-famiglia
a Londra all’abbandono quando aveva
cinque anni, dall’infanzia con il padre in una comunità
hippie a Roma all’avventura indiana; dai
centri sociali occupati al lavoro di cameraman.
Fino al viaggio che lo ha portato, alle soglie del
2000 alla ricerca del padre scomparso in India
dopo essersi unito all’ordine dei Nath, i più
antichi asceti indù devoti di Shiva. I suoi primi
vent’anni sono stati intrisi di sogni e utopie, ma
Ram ha dovuto fare presto i conti con l’abbandono,
il rifiuto e la ricerca.
Questo memoir intenso, questo racconto meraviglioso
e bruciante, come il fuoco sacro nel
duni, mescola continuamente, a ogni capitolo,
stupore e indignazione, incanto e rabbia, amore
e risentimento, fino a una riconciliazione rasserenata,
all’indulgenza della raggiunta maturità.
Forse per un figlio accogliere le utopie di un padre
è più difficile che per un padre accettare i
sogni di un figlio, ma queste pagine sembrano
volerci dire che, come per ogni iniziazione, più la
strada è difficile, più merita di essere percorsa
fino in fondo.