Le narrazioni della scuola italiana tendono
a polarizzarsi intorno a due archetipi: quello
che ha per capostipite il libro Cuore e vede
studenti assetati di conoscenza, guidati da
insegnanti colti e sostenuti da famiglie partecipi;
e quello che Alfredo Palomba definisce “i buchi
neri”, secondo cui la scuola tende a essere
un’istituzione aziendalizzata, i docenti una
categoria che ha perso credibilità, fiaccata da
responsabilità troppo grandi e stipendi troppo
bassi, alla mercé di studenti senza ritegno,
familiari iperprotettivi e arroganti e governi
dediti solo a tagliare e a imporre una burocrazia
sempre più pervasiva...
Solo, al centro dell’aula di un istituto professionale
di provincia, poco prima dell’arrivo di decine
di ragazzi che si portano dietro vite complesse,
Alfredo Palomba realizza invece di essere
“nell’occhio dell’uragano, in un punto
di osservazione privilegiato”. L’uragano è tutto
intorno, auscultandone il cuore si può raccontarne
le macerie ma anche la straordinaria vitalità.
E allora ogni dettaglio diventa prezioso,
dalle GPS – non uno strumento per orientarsi
ma le temute graduatorie provinciali
a scorrimento – fino alle vite irte di difficoltà
di allievi che avrebbero bisogno di interventi
di mediazione linguistica e sostegno psicologico
per essere messi in condizione di apprendere,
dalle statistiche riguardanti i livelli critici
dei sintomi di burnout tra gli insegnanti fino
all’edilizia scolastica, che con il suo stato
di incuria dice più di molte parole.
Con queste pagine in cui la cronaca si fa
letteratura e personaggi minimi diventano
eroi contemporanei, Palomba ci consegna
una testimonianza che è al tempo stesso
un accorato appello: perché la scuola
è un laboratorio vivo di “enorme, invisibile
potenziale, un capitale di eventi che è quasi
una vibrazione, il segno di qualcosa di reale
in attesa di compiersi”: la scuola, insomma,
è il laboratorio del futuro.