Bugiarda, equivoca, quasi inutile, eppure unico mezzo
di comunicazione tra le intelligenze, la parola è protagonista
nella vita e nelle opere di Agostino. Con gli strumenti affinati
della grammatica, della retorica, della dialettica, il retore africano
si cimenta nel confronto tra la cosa detta e la cosa che è.
Il risultato è un combattimento nel quale ogni volta si arriva
alle estreme conseguenze di ciò che si afferma, anche quando
sono paradossali e anche quando sembrano uscite dalla penna
di Ludwig Wittgenstein e di Ferdinand de Saussure. In questo
volume sono raccolti – con il testo latino a fronte – i primi scritti
intorno al tema della parola: tre trattati incompiuti sulle arti liberali,
grammatica, retorica e dialettica (387), e il dialogo De magistro
(389-390). Nel De grammatica e nel De retorica – per la prima
volta tradotti in italiano – la cultura classica è rivisitata dalla
sensibilità di un tardo-antico ma anche dall’acutezza del tecnico:
Agostino dà saggio delle sue conoscenze e prova gli strumenti
del dire, definitivamente messi a punto nel De dialectica.
Il trattato segna una delle tappe fondamentali della storia
della filosofia del linguaggio: se la ricerca del vero è lo scopo
della dialettica di Agostino, questa deve confrontarsi con i limiti
degli strumenti linguistici. Ideale proseguimento del De dialectica,
il De magistro cerca di esaurire le estreme possibilità di
comunicazione della parola tramite un procedimento sottile,
intelligente, a tratti ironico. Tra le opere di Agostino è forse una
delle più variamente interpretate: attenta lezione di grammatica,
profondo studio di pedagogia, acuta esercitazione della mente,
trattato precursore di semiotica. Con le altre opere forma una sorta
di perfetto manuale dell’uomo di lettere, in grado di iniziare il lettore
contemporaneo a quella scienza del linguaggio cui si è votata molta
della cultura del nostro secolo.