Dopo quasi ottant’anni la guerra è ricomparsa
sul Vecchio Continente. L’aggressione scellerata
che Vladimir Putin ha scatenato contro l’Ucraina
il 24 febbraio 2022 ha rotto decenni di pace e ha
fatto sì che l’Europa tornasse a essere ciò che per
secoli era sempre stata fino alla conclusione del
secondo conflitto mondiale: ‘il posto della guerra’.
Come è potuto accadere uno scempio simile proprio
nella ‘civile Europa’? Nel luogo che ha rappresentato
un pilastro di quell’ordine liberale che ha trasformato
il sistema internazionale stringendo attorno a sé una
famiglia di democrazie affratellate e tessendo
una fitta trama di istituzioni e trattati garanti della
cooperazione e della pace? Se la pace, dunque,
è stata infranta proprio dove le condizioni per
mantenerla erano le migliori possibili, che speranza
resta per evitare che la forza ricominci a essere
la sola ‘regola del mondo’?
La risposta a questa domanda passa per la
consapevolezza che la possibilità di escludere
la guerra come prospettiva deriva proprio dalla
credibilità e dalla sopravvivenza di quell’ordine
liberale che la guerra di Putin ha messo sotto
attacco: l’invasione russa dell’Ucraina non è infatti
solo una dichiarazione di ostilità mortale nei
confronti di quel paese, ma è anche un’esplicita
aggressione all’Occidente democratico e ai principi
e alle regole su cui si fonda.
Ripensare la guerra, e il suo posto nella cultura
politica europea contemporanea, dopo l’Ucraina
è il solo modo per non trovarsi di nuovo davanti
a un disegno spezzato senza nessuna strategia per
poterlo ricostruire su basi più solide e più universali.
Perché se c’è una cosa che la fiera resistenza del
popolo ucraino ci ha insegnato è che non bisogna
arrendersi mai, che la difesa della propria libertà
ha un costo ma è il presupposto per perseguire
ogni sogno, ogni speranza, ogni scopo, che le cose
per cui vale la pena vivere sono le stesse per cui vale
la pena morire.