Nella primavera del 1962 la famiglia Ichino riceve
una visita dell’amico don Lorenzo Milani.
Indicando i libri e il benessere che si respira
in quel salotto milanese, il priore si rivolge a
Pietro, tredicenne: «Per tutto questo non sei
ancora in colpa; ma dal giorno in cui sarai maggiorenne,
se non restituisci tutto, incomincia a
essere peccato».
Marchiato a fuoco da questo monito, che pur
nella sua radicalità racchiude in sé molti altri
insegnamenti familiari, il protagonista di queste
pagine rifiuta di intraprendere la carriera
di avvocato al fianco del padre amatissimo per
dedicarsi al movimento operaio, ritrovarsi cooptato
nel palazzo del potere ma poi farsene
cacciare, studiare il Diritto del lavoro nell’epoca
drammatica della fine delle ideologie, del
terrorismo rosso e poi della sua nuova fiammata
al passaggio del millennio.
In questo libro insolito, al confine tra un racconto
intimo e il grande affresco di un’epoca,
le vicende pubbliche si intrecciano alla storia
di una famiglia italiana che raccoglie in sé
l’eredità
ebraica e un cattolicesimo dalla forte
vocazione sociale e che ha eletto la Versilia a
proprio luogo dello spirito. È così che – dalle
persecuzioni razziali al Concilio Vaticano II, da
Bruno Pontecorvo a Piero Sraffa, dal ’68 all’assassinio
di Calabresi, dal Pci di Pietro Ingrao
fino alle riforme del Diritto del lavoro – la “casa
nella pineta” diventa il crocevia di vite vissute
con singolare intensità, dove generazioni di padri
e di figli dalle anime inquiete possono crescere,
amarsi, perdersi e ritrovarsi.