Tommaso Alfieri guarda la sua vita e si rende
conto di averla sperperata. Ha fatto carriera,
ha viaggiato per mezzo mondo, ha avuto donne
audaci, ma di tutto questo pare che non gli sia
rimasto nulla. Ha perso Evelina, moglie adorata
che ha trovato attenzione altrove, e i figli
hanno preso le loro strade. È solo. Crede
di aver capito dove ha sbagliato, vorrebbe
restituire il giusto valore ai suoi giorni, però
non sa quanti gliene rimangano: se è facile
mettere al sicuro i soldi guadagnati, niente è
garantito nell’esistenza di un uomo, specie se
la salute vacilla. Tommaso non si arrende,
insegue ciò che gli sembra possibile. “Vivere
quello che resta, ricordare. E conoscere
qualcuna delle mille cose che non so.
Comincio in ritardo, ho poco tempo, ma spero
di non sprecarlo più.” Per questo forse accetta
di aiutare Jolanda, albanese dagli occhi molto
celesti confinata in un campo alla periferia
di Roma, che però con lui si fa esigente fino
alla sfrontatezza. Per questo, abbandonato
lo storytelling aziendale, racconta fiabe
al nipotino Giovanni cullandosi nel tepore
di un affetto incondizionato. Si commuove
spesso, Tommaso, piange perfino di fronte
a una statua, la Pietà Rondanini. Dentro
una baracca di lamiere e cartone, fra le pagine
di un libro di favole, ai piedi di un capolavoro
del non finito “che ci ricorda che noi
apparteniamo a un amore infinito” succede
comunque qualcosa: Tommaso intravede la via
per una rinascita, non importa quanto effimera.