Nel vasto orizzonte degli interessi di Voltaire lo studio
della storia ha sempre avuto un’importanza che è
impossibile sopravvalutare. Fin dagli anni giovanili,
in cui Voltaire si dedicava alla composizione del poema
epico La Henriade, consacrato alla figura esemplare
di Enrico IV, la storia fu sempre per lui materia
di riflessione, tanto sul passato quanto sul presente.
Se nel 1745 Voltaire ottenne la prestigiosa carica
di “storiografo di Francia”, che lo costrinse per alcuni
anni a svolgere la funzione di storico ufficiale di Luigi
XV, è grazie alla sua opera di storico che la storia
ha cessato di essere opus rhetoricum o erudizione
antiquaria, per diventare uno strumento funzionale
alla lotta per la diffusione dei lumi della ragione.
«Ciò che solitamente manca a coloro che compilano
la storia è lo spirito filosofico: la maggior parte, invece
di discutere di fatti con degli uomini, racconta favole
a dei bambini», Voltaire lamentava nelle Osservazioni
sulla storia. La sua immensa opera storica, che
abbraccia le civiltà più remote nel tempo e nello
spazio fino alla situazione politica e militare degli anni
a lui contemporanei, che sono quelli della Guerra
dei Sette Anni, ha provveduto a conferire un nuovo
significato e una nuova forza critica al vecchio adagio
della historia magistra vitae: alla storia, e in primo
luogo a quella che egli studia ed espone nelle proprie
opere, Voltaire chiede di essere “utile”, ovvero una
storia che sia capace di farci «conoscere i nostri doveri
e i nostri diritti, senza avere la pretesa di insegnarceli»,
come scrive, senza mezzi termini, nel Dizionario
filosofico.