La vergogna di sentirsi osservati, il bisogno di nascondersi, la cultura ossessiva dell'immagine, il razzismo e il classismo diventano le tappe di un viaggio attraverso i segreti che copriamo con i nostri vestiti. Attingendo a fonti storiche e letterarie, l'autore ci presenta dei protagonisti della storia e della letteratura, e lui tra queste, le cui vite sono state tormentate da problemi della pelle. Quando la pelle si ammala, ci trasformiamo in mostri. Da questa constatazione, sincera e brutale, prende avvio il racconto di Sergio del Molino, al tempo stesso personale e universale, capace di dettaglio clinico e di appassionato slancio letterario. A causa di una grave psoriasi, lo scrittore si appassiona alle vite delle numerose persone che hanno sofferto e patito le conseguenze di questa malattia. La vergogna di sentirsi osservati, il bisogno di nascondersi, la cultura ossessiva dell'immagine, il razzismo e il classismo diventano le tappe di un viaggio attraverso i segreti che copriamo con i nostri vestiti. Attingendo a fonti storiche e letterarie, l'autore ci presenta dei protagonisti della storia e della letteratura le cui vite sono state tormentate da simili problemi: Stalin che nella sua dacia si immerge in bagni segreti, lontano da ogni sguardo; Pablo Escobar e le sue infinite docce; Cyndi Lauper sponsorizzata da una casa farmaceutica che produce un farmaco per le malattie dermatologiche; John Updike che si ustiona volutamente al sole dei Caraibi; Nabokov che scrive dall'esilio alla moglie: «Tutto andrebbe bene se non fosse per la mia dannata pelle». Dittatori, narcotrafficanti, cantanti pop, romanzieri, nessuno è escluso. E del Molino non può non inserire se stesso nella galleria delle storie in cui approfondisce i segreti della cute: quello che per alcuni è un segno di orgoglio per altri può essere una fonte di ansia e vergogna, motivo di inclusione ed esclusione dalla società. La sua sensibilità di scrittore, il gusto del paradosso e dell'ironia, lo hanno spinto a scrutarsi con sguardo beffardo e dolente, irriverente e inquieto, che non ha paura di nulla. Come ha scritto Javier Cercas, «del Molino non fa altro che utilizzare in modo audace quel genere ibrido, quasi infinitamente versatile e onnivoro che chiamiamo romanzo, e generare così una potente riflessione sulla nostra fragilissima condizione umana».