Radici è il titolo di uno dei primi album di
Francesco Guccini, e radici è la parola che forse
più di tutte rappresenta il cuore della sua
ispirazione artistica. Radici sono quelle che lo
legano a Pàvana – piccolo paese tra Emilia e
Toscana dove sorge il mulino di famiglia, vera
Macondo appenninica ormai viva nel cuore
dei lettori – e radici sono quelle che sa rintracciare
dentro le parole, giocando con le etimologie
fra l’italiano e il dialetto, come da sempre
ama fare.
Oggi Pàvana è ormai quasi disabitata, i tetti
delle case non fumano più. È in questo silenzio
che il narratore evoca per noi i suoni di un
tempo lontano, in cui la montagna era luogo
laborioso e vivo, terra dura ma accogliente per
chi la sapeva rispettare. Rinascono così personaggi,
mestieri, suoni, speranze: gli artigiani
all’opera in paese o lungo il fiume, i primi
sguardi scambiati con le ragazze in vacanza, i
giochi, gli animali e i frutti della terra, un orizzonte
piccolo ma proprio per questo aperto
all’infinito della fantasia.
Tra elegia e ballata, queste pagine sono percorse
da una continua ricerca delle parole giuste
per nominare ricordi, cose e persone del tempo
perduto; la malinconia è sempre temperata
dalla capacità di sorridere delle umane cose e
dalla precisione con cui vengono rievocati gesti,
atmosfere, vite non illustri eppure piene di
significato.
Francesco Guccini non canta più, ma la sua
voce si leva di nuovo per noi, alta, forte, piena
di poesia, per consegnarci un’opera che è testamento
e testimone da raccogliere, in attesa
di una nuova aurora del giorno.