A partire dal momento in cui, con Essere
e tempo (1927), Heidegger riconobbe
alla “ermeneutica dell’esserci” un ruolo basilare
nella costruzione della filosofia, la teoria
dell’interpretazione (ermeneutica, dal nome
del dio greco Hermes, messaggero degli dei)
ha progressivamente perduto la fisionomia
di disciplina “tecnica” che la caratterizzava
nella cultura occidentale e ha acquistato un rilievo
filosofico crescente. Il problema dell’interpretazione
non si pone più solo in rapporto all’esegesi di testi
letterari, religiosi, giuridici; né la problematica
del metodo delle scienze storico-sociali,
o “scienze dello spirito”, dibattuta dal pensiero
otto-novecentesco, è più una pura e semplice
discussione metodologica. Dal punto di vista
aperto da Heidegger, il fenomeno
dell’interpretazione caratterizza ogni aspetto
dell’esistenza umana, giacché questa si svolge
tutta entro il medium del linguaggio,
che la condiziona e la rende possibile.
Hans Georg Gadamer è stato il primo pensatore
che, muovendo da una rimeditazione dell’eredità
di Heidegger e, prima, di tutta la tradizione
del pensiero occidentale dai Greci a Hegel,
ha dato una presentazione sistematica
dell’ermeneutica come posizione filosofica specifica.
In Verità e metodo (la sua opera fondamentale,
uscita la prima volta nel 1960) Gadamer
contrappone allo scientismo e all’epistemologismo,
che dominano la filosofia di inizio secolo
(e che identificano la verità con il sapere delle
scienze positive), una rivendicazione della portata
di verità di altre esperienze-chiave dell’esistenza,
come quella estetica, quella storiografica,
quella del dialogo interpersonale. Non però
con l’intento di riproporre tesi irrazionalistiche
o intuizionistiche, bensì mirando al recupero
di una nozione di ragione che non dimentichi
il nesso, originario greco, tra logos, linguaggio
e dialogo. In tal modo, come ha osservato
Habermas, Gadamer “urbanizza” gli esiti
del pensiero di Heidegger, rendendo possibile
un approccio al carattere linguistico dell’esistenza
che tiene conto sia della tesi heideggeriana
sul linguaggio come “casa dell’Essere”, sia
di altre correnti di pensiero orientate all’analisi
del linguaggio, come la filosofia che si ispira
al cosiddetto “secondo Wittgenstein”.