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Recensione "Le nostre mogli negli abissi", Julia Armfield

L’abbiamo conosciuta nel 2022, in Italia, con la raccolta di racconti Mantide (Bompiani) selezionata tra i migliori libri del 2019 dal The Guardian e da Vanity Fair. Questa volta, invece, Julia Armfield si cimenta nella forma del romanzo e lo fa con una maturità che appartiene ai grandi scrittori, senza però togliere spazio alla sperimentazione più pura. La storia, infatti, mescola gli ingredienti del romanzo gotico di Shelley agli elementi dell’horror di H.P Lovecraft ma con un obiettivo ben preciso: esplorare l’insondabilità dell’animo umano e le sue infinite trasformazioni.  

 

A raccontarci questa storia sono Miri e sua moglie Leah, biologa marina costretta spesso ad allontanarsi da casa per condurre delle ricerche sui fondali oceanici. Nella sua più recente missione, però, quest’ultima rimane coinvolta in un misterioso incidente e, quella che doveva essere un’esperienza di poche settimane, si protrae nel silenzio delle comunicazioni per diversi mesi. Ma perché? E come 

 

Miri se lo chiede mentre cerca di fare i conti con la scomparsa di sua moglie, lottando con la paura della morte e la speranza angosciante di un possibile ritorno. Se lo chiede anche quando inspiegabilmente Leah compare sulla porta di casa senza spiegazioni, portandosi dietro un dolore al quale è impossibile trovare un nome. Non si dà pace, anche quando quella che era sua moglie comincia a mutare in qualcosa di diverso, di mostruoso e sinistro, rendendo la loro normalità un lontano ricordo.  

 

Julia Armfield combina elementi reali e fantastici per osservare da più punti di vista un tema poliedrico come il lutto. Perché affrontare una perdita è un’esperienza dal peso umano indicibile, ma cosa succede quando, di punto in bianco, ci troviamo di fronte una persona che non è più quella che abbiamo conosciuto?  

 

Con una scrittura “fluida come l’acqua” e un ritmo scandito dai punti di vista delle due protagoniste, la scrittrice ci accompagna in un viaggio nell’oscurità degli abissi, da sempre casa di creature misteriose e sconosciute. Ma forse, sembra affermare Armfield, questo vale anche per l’animo umano e la sua psiche.   

 

Michela Clavout, librerie Giunti al Punto Cagliari

Julia Armfield
Leah, biologa marina, torna a casa dopo una missione sul fondo dell’oceano che si è conclusa in tragedia. Miri la accoglie a braccia aperte: finalmente ha sua moglie tutta per sé. Ma appare subito chiaro che ciò che è successo negli abissi con i compagni di missione non è stato un incidente, e che Leah ha portato con sé un bagaglio di ansia, dolore, solitudine: riadattarsi a una vita normale le è impossibile. Il ricordo di quello che avevano prima – i loro scherzi segreti, i film che guardavano insieme, tutte le piccole cose che le univano – serve soltanto ad acuire il senso doloroso di quanto è andato perduto sotto il mare. Perché? E come? C’è speranza per Leah e Miri? Una storia romantica e dolente, una scrittura fluida come l’acqua e buia come gli abissi in cui ci conduce.
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Un tempo pensavo al mare come a un luogo in fermento che a un certo punto si acquietava, a un’attività frenetica che si riduceva scivolando nell’oscurità, fino a estinguersi. Adesso so che non è così che funziona, che le cose che vivono in profondità devono muoversi e mutare per causare una reazione a catena in superficie.

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