È il Gennaio del 1991 quando Mogadiscio cade sotto i colpi di mitra, in una guerra civile che ne restituisce polvere e macerie. E mentre la Somalia sanguina e urla di un dolore viscerale, a Roma vive una giovane Igiaba Scego, che attraverso le immagini che scorrono in televisione sperimenta quello che chiama il Jirro: una parola che significa “malattia”, ma possiede le sfumature del trauma, della disperazione, del cuore spezzato.
Un memoir costruito come una lunga lettera a sua nipote Soraya, in cui l’autrice racconta la storia della famiglia Scego che è la storia di un popolo intero, sradicato e lacerato. In questo dialogo intergenerazionale e dal forte coinvolgimento emotivo, si ripercorre ciò che la Somalia ha subìto nell’arco di secoli: dalla dittatura di Siad Barre all’occupazione italiana, fino agli scontri nella capitale Mogadiscio tra le ostilità della popolazione locale.
Attraverso questo romanzo, che rientra tra i 12 candidati al Premio Strega 2023, Igiaba Scego narra della fuga in Italia, della disperazione dell’essere profughi e delle umiliazioni subìte da neri in un paese di bianchi, e mescolando la lingua di Dante alle sonorità somale dà voce ai ricordi di sua madre, la sua hooyo, che partì alla volta di Mogadiscio poco prima dello scoppio degli scontri del 1991 gettando nello sconforto una figlia ancora troppo giovane per sopportarne un’eventuale e disgraziata perdita, ma che nell’alfabeto e nella narrativa ha ricercato sollievo e cura.
A questo racconto lirico, l’autrice accosta riflessioni su tematiche che si rincorrono nel tempo ma che continuano ad essere estremamente attuali, dalla rivendicazione al diritto all’istruzione delle donne islamiche alle interminabili guerre che affliggono il nostro pianeta.
Come Cassandra, figlia di Ecuba e Priamo, che osserva una Troia sanguinante e piena di cicatrici, Igiaba Scego ricorda la sua Mogadiscio smembrata. Ma, come afferma proprio l’autrice, “la storia può toglierci la casa, ma non la voce; può accecare i nostri occhi, ma mai, mai la nostra memoria”.
Ilaria, Giunti al Punto Corigliano Calabro
Anche questa lettera è in perenne divenire, una base da cui partire per riflettere su di noi. Come famiglia. Come diaspora. Per curarci. Dal Jirro che ci balla dentro.