Vai direttamente ai contenuti
 
Home | Dentro le Storie | Recensione "Un buon posto in cui fermarsi", Matteo Bussola
Recensione "Un buon posto in cui fermarsi", Matteo Bussola

Quel che rende un autore come Matteo Bussola un autore straordinario è proprio la sua incredibile capacità di parlare dell’ordinario. I libri di Bussola si rivolgono ad ognuno di noi perché lui è un uomo, prima ancora di essere uno scrittore, in grado di osservare la realtà quotidiana con attenzione e profondità. Dall’osservazione, poi, nascono le sue splendide storie, mai banali, e nelle quali è impossibile non rispecchiarsi almeno un po’. Quella che Bussola mette in atto, dunque, è una vera e propria magia, la stessa che ci permette di sentirci compresi e confortati durante la lettura dei suoi libri. 

 

Dopo il successo de Il rosmarino non capisce l’inverno, in cui Bussola ha dato spazio a delle donne, delle eroine, che di eroico fondamentalmente non hanno poi molto, essendo donne comuni, e dopo averne celebrato la forza inestimabile, paragonabile solo a quella del rosmarino che resiste alle intemperie dell’inverno, ecco che in Un buon posto in cui fermarsi, quasi come a chiudere un cerchio perfetto, a far da protagonisti sono degli uomini fragili che nella loro debolezza scoprono una grande risorsa. 

 

Stefano, il personaggio centrale della prima storia, scopre il coraggio di rinunciare alla “vetta” e la consapevolezza che “ogni giorno che valga la pena di essere vissuto comporta qualche piccolo tradimento necessario”; Arnaldo comprende la fortuna di prendersi cura di chi si ama, anche se della persona che amiamo non resta niente al di là del suo corpo tangibile; Solomon ci insegna quanta forza occorra per abbandonare ogni cosa, affrontare le proprie paure, sperare in un futuro migliore. 

 

Ognuno di loro, con le proprie crepe e le proprie fratture, arriva a capire che ciò che rende davvero invincibili è la caduta, il fallimento, l’accettazione del proprio io per quello che è, seppur spezzato, non conforme a quello che la società impone, inadeguato. Grazie a delle figure maschili a cui non siamo abituati a pensare, perché quello che si insegna è che “dietro ogni grande uomo c’è una grande donna”, come se il compito di un uomo fosse quello di stare sempre davanti e mai accanto, Bussola ci regala una visione della realtà che ci rende finalmente liberi. Liberi di essere sé stessi.  

 

Ma soprattutto, ci dice che a volte quel che conta non è il dover andare, il dover raggiungere. A volte la felicità coincide semplicemente con un buon posto in cui fermarsi, per godersi da lì quel meraviglioso, incredibile, folle spettacolo che è la vita. 

 

Giorgia, libraia Giunti al Punto di Silvi Marina

Matteo Bussola
A volte la vita ci colpisce fino ad abbatterci. E se invece di rialzarci, provassimo a guardare il mondo con gli occhi di chi è a terra? Forse proprio la resa può regalare un'inaspettata felicità. Dopo "Il rosmarino non capisce l'inverno", il nuovo commovente romanzo di Matteo Bussola. In pochi hanno saputo raccontare la fragilità maschile senza stereotipi, senza pregiudizi, senza vergogna. Matteo Bussola sa farlo con schiettezza e umanità. In queste pagine lancinanti eppure piene di luce, un uomo trova il coraggio di disertare la propria esistenza e costruire un sogno. Un padre in neuropsichiatria con il figlio impara ad accogliere la ferita di chi ha messo al mondo. Un anziano marito, prendendosi cura della moglie malata di Alzheimer, si domanda che cosa rimanga di una relazione quando chi amiamo sparisce, anche se possiamo ancora toccarlo. Un hikikomori che si è innamorato online vorrebbe incontrare chi è diventato per lui così importante, ma la paura di uscire lo imprigiona. Un bambino ubbidiente scopre la bellezza inattesa di deludere le aspettative. Incrinati, piegati, sconfitti, capaci però di cercare un senso, di intravederlo lì dove mai avrebbero creduto, questi protagonisti trovano ognuno un modo personale, autentico, spudoratamente onesto, di rispondere alla domanda: «Che cosa fa di un uomo un uomo?»
Leggi di
Scopri di più

Quello che soprattutto non ti diranno è che a volte vinci proprio quando perdi. Non ti diranno che ci addestrano alle vette, mentre ci sono vallate meravigliose. Ti sentirai forzato dalla retorica della sfida, al culto dell’efficienza, al continuo e inappagato desiderio di un altrove, come se la vita stesse sempre da un’altra parte e mai qui, accanto a te. A vincere il mondo anziché imparare a camminarci dentro. A sognare il cielo piuttosto che perderti in un filo d’erba.