Vai direttamente ai contenuti
 

Home | Dentro le Storie | Recensione "L'imprevedibile viaggio di Harold Fly", Rachel Joyce
Recensione "L'imprevedibile viaggio di Harold Fly", Rachel Joyce

Una storia che commuove profondamente il lettore, e che ha ispirato l'omonima pellicola cinematografica di Hettie MacDonald (già regista della serie TV "Normal People", tratta dal romanzo di Sally Rooney), con protagonisti il premio Oscar Jim Broadbent e una delle interpreti di "Downtown Abbey", l'attrice Penelope Wilton.

 

Harold Fry è un anziano signore che vive a Kingsbridge insieme a sua moglie Maureen. Un giorno arriva a casa una lettera inaspettata: è Queenie, una cara ex collega e amica, che gli scrive per dirgli addio perché è ormai ammalata di un cancro incurabile. La notizia sconvolge Harold, che in preda allo shock decide di rispondere a quella lettera. Ma arrivato alla cassetta della posta, scatta qualcosa dentro di lui. Decide di non fermarsi, ma di continuare a camminare. Andare a piedi a Berwick, a oltre mille chilometri da casa, per salvare la sua amica. Sì, perché fino a quando lui camminerà, il cuore di Queenie non smetterà di battere.

 

Harold, in questa folle avventura on the road, nonostante la stanchezza e le vesciche ai piedi, avrà la possibilità di conoscere tante persone e ascoltare storie che smuoveranno la sua coscienza, ma riuscirà soprattutto a riflettere sugli errori commessi nel corso della sua esistenza. La solitudine forzata farà riemergere ricordi drammatici e demoni interiori, cose che lo hanno allontanato da sua moglie e che hanno incrinato il rapporto con suo figlio David.

 

Un romanzo dolcissimo sull'importanza del valore dell'amicizia e della bellezza di un gesto gentile, elementi capaci di rendere possibile l'impossibile. Harold è un anti-eroe, un moderno Forrest Gump che vuole solo redimersi e rimediare a un passato ingombrante e doloroso, dove i passi falsi sono stati troppi e hanno portato a conseguenze apparentemente insanabili. Girata l'ultima pagina del libro, il pensiero che rimane è che ci si può riappacificare con sé stessi e con gli altri, se lo vogliamo veramente e lo sentiamo nel profondo del cuore, perché solo guardando al di là delle cose possiamo trovare le risposte a ogni nostra domanda e, soprattutto, perdonarci.

 

Ilaria, libraia di Corigliano Calabro

Rachel Joyce
È un normalissimo mattino di metà aprile, quando il neo-pensionato Harold Fry riceve la lettera che sta per sconvolgere la sua vita. Queenie Hennessy, una ex collega e amica, gli ha scritto per dirgli addio: si trova, infatti, in una casa di cura nel Nord dell’Inghilterra e sta per morire di cancro. Sopraffatto dai ricordi e dalle emozioni, Harold riesce a fatica a buttare giù qualche parola per rispondere a un tale messaggio, ma una volta arrivato alla cassetta della posta qualcosa lo blocca. Sono passati vent’anni dall’ultima volta che ha visto Queenie e non ha mai potuto ringraziarla per quello che ha fatto per lui, così, spinto da un impulso improvviso e del tutto irrazionale, decide di andarla a trovare e semplicemente… comincia a camminare. Si convince che finché lui camminerà, lei continuerà a vivere. Inizia così un lungo viaggio a piedi, mille chilometri che lo porteranno da Kingsbridge a Berwick-upon-Tweed, senza scarpe da trekking né bussola, per non parlare di una cartina o di un cambio di abiti. Ma nonostante le vesciche ai piedi e i dolori alla schiena, ogni passo è un’occasione per rivivere il suo passato e sbloccare i tragici ricordi che lo hanno sempre più allontanato da sua moglie Maureen; ogni incontro una speranza di rinnovamento. La sensazione di libertà che gli provoca questa avventura nell’ignoto è inebriante, perché finalmente la sua vita ha uno scopo e lui non può fallire. Impossibile non farsi trascinare dall’ottimismo di Harold Fry, l’anziano impacciato e gentile, la cui eccezionale storia ci ricorda che tutto è possibile e che senza amore non si può fare niente che abbia davvero importanza.
Leggi di
Scopri di più

Capì che il suo viaggio a piedi, quel camminare per espiare i propri errori, era anche un modo per accettare le stranezze degli altri. Essendo di passaggio, si trovava in un luogo dove tutto, non solo gli spazi, era aperto. La gente si sentiva libera di parlare, e lui era libero di ascoltare. Di portarsi via un po' di loro.